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    By Luce il 17 April 2024
     
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    VITA DOMESTICA
    Ranch Makiba


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    Di solito, cosa si aspettano due piloti come Alcor e Actarus dopo un estenuante duello con il solito mostro di Vega, piuttosto restio ad essere sconfitto, il quale prima di finire sbriciolato, ti ha fatto sudare qualcuna in più delle canoniche sette camicie?
    Credo si aspettino, non dico una pedana chilometrica di velluto rosso con gli inchini di tutti gli abitanti del Giappone, ma almeno un caloroso benvenuto di ritorno al ranch da parte di tutta la famiglia Makiba, e non un brontolio sommesso e continuo da parte di Rigel con rimproveri a catena per non aver finito e male tutti i lavori.
    Sorvolando questa inezia ormai di ordinaria amministrazione, si vorrebbe trovare in tavola una cena che ripaghi e ritempri il fisico e la mente dopo la battaglia.
    In pieno luglio e con un caldo da incubo, ecco che veniva invece servito un piatto bello colmo fino all’orlo di brodo bollente, che una volta portato in tavola continuava a fare le bolle, perché la roba fredda nuoce alle tonsille e fa male, seguito da un secondo che sarebbe stato molto più gradito a gennaio inoltrato.
    Logica conseguenza: altro interminabile copioso bagno di sudore, qui di camicie ce ne vorrebbero per un esercito, la doccia è solo un lontano miraggio, perchè dopo bisognava avvicinarsi al caminetto acceso, visto che al tramonto l’aria si fa fresca, quindi finestre tappate col fumo della pipa che produceva altro calore, ascoltare le formidabili prodezze da cow-boy di Rigel ai tempi in cui viveva ancora in America, gli antenati samurai e loro usanze… tutto ciò per alcune ore.
    Venusia intanto era impaziente di stare un poco da sola con Actarus, avere notizie dettagliate della battaglia e non solo, senza ovviamente farsi capire da Rigel e Mizar ancora certi all’epoca, che solo Alcor, col suo mezzo tenesse a bada minidischi e compagnia.

    Verso mezzanotte, Rigel diede finalmente cenni di sfinimento e andò a dormire, quindi tutti gli altri furono finalmente liberi di fare i propri comodi.
    “Oggi vi ho osservato durante la battaglia dal centro spaziale e ho notato qualcosa di sospetto, io credo che qualche alieno travestito da terrestre sia sceso qui in Giappone a prendere le misure per costruire una base” disse Venusia sottovoce ad Alcor e Actarus appena usciti dal bagno ristoratore nel corridoio che portava alle rispettive camere da letto.
    “Ne sei sicura? Raccontami bene tutto” le rispose Actarus ammirandola da capo a piedi, visto che indossava una camicia da notte estiva fatta di… aria.
    Un velo impalpabile rosa carnicino piuttosto ampio e svolazzante: non occorreva troppa fantasia per immaginare il contenuto e doveva essere un contenuto di tutto rispetto, date le occhiate eloquenti e ammirate del principe caduto dalle stelle e quelle clandestine, ma non meno intense di Alcor.
    “Venite nella mia stanza, è meglio” propose Venusia. Entrarono e chiusero bene la porta.
    Dopo venti minuti di scambio di vedute, decisero che per il momento non c’era nulla di grave e andarono a riposare.

    Sul far dell’alba, vennero tutti svegliati all’improvviso da un gran botto proveniente dal piano terra, quindi scesero di corsa a controllare.
    Videro una figura piuttosto alta e robusta vestita con una tuta di ciniglia color ciclamino battere con forza e prepotenza il pugno sulla porta d’ingresso.
    “Ehi, ci siete?! La vostra mandria è scappata e sta devastando tutta la mia proprietà…”
    Hara, alquanto su di giri e piuttosto furiosa, gridava con quanta voce aveva in gola.
    “Calmati un momento, di quale mandria stai parlando? Io la sera chiudo bene le stalle, non sono come te e quella sottospecie di figlio che vive in quella baracca, circondata da una mulattiera al posto della strada dove non può mai passare l’autobus!” l’apostrofò Rigel con voce spiegata e tonsille bene in vista.

    Intanto Hara approfittò della discussione per entrare in casa senza essere invitata.
    “Ho avuto una giornataccia ieri, se avete già preparato il caffè, posso averne una tazza?”
    “Mi dicevi cosaaaa? Che i miei animali stanno danneggiando la tua proprietà?” le gridò il ranchero.
    “No, se mi dici che li hai chiusi bene, devono essere le mandrie di qualche altro fattore che confina con la mia strada. Cosa avete per colazione?”
    Intanto, con la manona pescava nel sacco da chilo di biscotti al malto, cioccolato e miele, poi dal bollitore sul fuoco versava nella tazza presa dall’armadietto quasi tutto il caffè che conteneva.
    “Il cucchiaio non è commestibile e nemmeno la tazza, quindi se hai finito puoi tornartene da dove sei venuta” la informò Rigel trattenendo con sforzo un gergo meno educato.

    Uscita nel cortile, Hara cominciò a guardare con aria scrutatrice, saccente e riprovevole le piante e le siepi vicino all’abitazione: “Questi fiori vanno innaffiati più spesso, quella pianta grassa non ha spazio in un vaso così piccolo, dove avete messo quella grande olla che serve per contenere i gerani che vi ho regalato per Natale? Tu, Venusia, non sei una donna di casa molto attenta, guarda, per il tuo bene ti dico che se non usi il sistema per talea, troverai a breve tutto secco e rovinato.”
    La ragazza intanto era rientrata in cucina a preparare ghiaccioli di vari gusti come piacevano a Mizar: arancia, menta, lampone, ribes, pesca, limone, alla faccia del caldo e delle manie di suo padre, accidenti! Ci mancava solo quell’impicciona maleducata di Hara piombata lì allo spuntar del sole a ficcanasare, ma quando se ne andava? Non aveva da fare i suoi lavori anche lei come tutti?
    Ah, ecco, meno male, la mise color ciclamino stava prendendo il largo, era ora, notò con sollievo Venusia affacciandosi sulla porta d’ingresso.

    Tra una mungitura alle capre, una sistemata alle stalle, una cavalcata, zuppa bollente all’ora di pranzo, rigovernare, litigare, gridare agli ufo, in un qualche modo le ore passarono, e il cielo si tinse poco alla volta dei colori che preannunciavano il prossimo luccicare delle stelle e fu in quelle ore che, furtivamente, Actarus prese per mano Venusia e la fece entrare nella propria camera, chiudendo la porta a chiave lentamente e senza far rumore.
    Furono vicini, l’uno di fronte all’altra, lui le pose la mano sulla guancia vicino alla tempia, una carezza leggera e impalpabile come la camicia da notte che lei indossava, poi sedettero vicini sul davanzale della finestra aperta a guardare le stelle.
    La teneva tra le braccia e lei, dandogli le spalle, sentiva la sua voce che le accarezzava l’orecchio, frasi sommesse, entrambi storditi dall’odore che emanavano i loro corpi e dai profumi dell’estate che entravano dalla finestra.

    Qui, il sipario calato è composto da una leggerissima e impalpabile camicia da notte di velo rosa, lieve e soave come i baci che si stanno scambiando i due giovani: mi rendo conto all’improvviso di essere di troppo, quindi esco piano piano dalla camera in punta di piedi cercando di non svegliare nessuno, soprattutto Rigel e vado alla ricerca di qualche altra corvè domestica che possa essere spunto per le mie storie.

    Base lunare Skarmoon

    “Io voglio sapere perché ti vuoi vestire all’ultima moda, farti la permanente e andare alle sfilate!” così parlava Gandal alla legittima consorte in quella mattina di luglio.
    “Sei tu che non capisci niente e non hai buon gusto; vesti male, ti lavi poco e non ti tagli mai le unghie! E’ un bel castigo dover condividere lo stesso corpo, accidenti! Per oggi mi fermo qui perché il nostro sovrano vuole parlarci per attuare le strategie di attacco alla Terra!”

    Entrati nella sala comando videro con stupore che la principessa Rubina era arrivata alla base lunare: strano, non ne sapevano niente, credevano fosse ancora su Rubi a sistemare le ultime spinose questioni burocratiche.
    Sua Altezza stava seduta, no, meglio quasi distesa sulla poltrona di velluto scarlatto, stanca e annoiata a morte di tutto e di tutti, almeno questa fu la prima impressione che ricevettero.
    “Si può sapere che cos’hai di preciso?” le domandò il padre con premura. “Dalle ultime notizie che ho avuto, gli abitanti del pianeta sono abbastanza tranquilli, non ci sono state grandi sommosse, né scontri sfociati nel sangue.”
    “E’ questo il punto!” ribattè lei senza troppa energia. “Io mi diverto solo quando posso compiere genocidi a catena e soprattutto con qualche miliardo di morti, è da tanto che questo non avviene e io sono stanca, depressa e annoiata: rischiavo di morire di inedia, quindi mi sono detta, noia per noia, vengo qui a sentire se ci sono novità…” disse la ragazza buttando lontano la rivista che aveva sfogliato distrattamente.
    “E’ un periodo di fermo anche da noi: ci sarebbe molto da fare, ma questi collaboratori mi stanno facendo impazzire, non combinano niente di buono, fanno errori stupidi e sono svogliati. Sto pensando seriamente di sostituirli tutti e quando dico tutti, non ne escludo nessuno.
    Lo sai che l’altra sera Gandal e consorte si sono divertiti a fare il sacco nel letto a Zuril?
    Sembravano regrediti allo stadio infantile, ridevano come dei cretini, poi pensano che io non li veda, come no, vogliono farmi fesso, come quando la settimana scorsa, l’inappuntabile Ministro delle Scienze, in vena di esperimenti, ha messo una dose massiccia di sonnifero nel doppio cognac a Hydargos, perché voleva vedere se riusciva a procurargli un coma etilico.”

    Rubina non era interessata all’argomento, tratteneva gli sbadigli a fatica, mentre con l’indice arrotolava distrattamente una ciocca di capelli e i suoi occhi senza espressione erano persi in un punto lontano.

    Zuril intanto, per dimostrare di aver voglia di lavorare, entrò nella sala con un pacco di fogli impilati raffiguranti le bozze di nuovi mostri da combattimento.
    Entrato senza guardare dove metteva i piedi, andò a inciampare sulle gambe distese per quanto erano lunghe della principessa. Nella rovinosa caduta, i fogli si sparsero per tutta la sala.
    Rialzatosi non potè credere ai propri occhi: l’oggetto dei suoi sogni leciti e non era lì, in carne ed ossa! Che magnifica sorpresa, come mai non ne sapeva niente?
    “M… ma che novità, non sapevo che ci stavate onorando con la vostra presenza, a cosa debbo questa gradevolissima visita inaspettata? Siete sempre molto bella sapete? Oggi più di ieri, domani…”
    “Voi invece mi sembrate un ramarro in corsa, di quelli che sono raffigurati nelle spille decorative: sempre verde, sempre disgustoso, sempre antipatico, sempre...”
    “Abbiamo capito Rubina, pensiamo piuttosto a cosa fare adesso: vuoi andare in vacanza da qualche parte? In quella rivista che stavi leggendo ci sono dei club con tanti giovani, tanto divertimento…” le disse il padre con tono premuroso.
    “Tanto tornaconto anche, perché è pieno di bellimbusti che ti fanno il filo per portarti subito a letto e prima dell’alba ti hanno già scaricato!”
    “Non occorre scendere nei dettagli, se questa cosa non va bene si troverà dell’altro”, le rispose Vega alquanto imbarazzato della piega che stava prendendo la conversazione.
    Trascorsero alcuni minuti di silenzio assoluto, poi la principessa si alzò in piedi con un salto verso l’alto, tutta luminosa e felice: “Ho trovato! Che idea meravigliosa mi è venuta, come ho fatto a non pensarci prima? Sentite bene: scendo sulla terra a razzo, vado a riprendermi il mio storico fidanzato e lo porto qui, poi ci sposiamo e facciamo tanti bambini!!! Sì, sì, corro!”

    Prima che i presenti potessero formulare nella loro mente un pensiero logico e connesso, la Quenn Panther era già scomparsa nello spazio profondo, diretta come un missile verso il pianeta Terra.


    EPILOGO
    Qui termina la mia missione di reporter e non mi è dato sapere lo svolgersi degli eventi futuri: nel caso mi venissero conferiti altri incarichi sull’argomento, vi terrò informati. Ciao!



    FINE
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