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    FF Etoile
    By Luce il 17 April 2024
     
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    ETOILE

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    Il Teatro Comunale della cittadina bagnata dal mare Adriatico si andava riempendo di persone.
    Era una limpida e fresca sera di inizio di giugno: il periodo in cui di solito va in scena il saggio delle allieve di una delle tante e tante scuole di danza sparse per l’Italia.
    Il pubblico era in gran parte formato dai genitori delle allieve con fratelli e sorelle al seguito, zii e nonni, col perenne sorriso stampato sul viso che tradiva emozione e orgoglio.
    Quasi sempre, facevano la loro comparsa insegnanti di altre scuole: venivano invitati, oppure decidevano loro stessi di andare a vedere lo spettacolo. Osservare, criticare, godere dell’impaccio e degli inevitabili errori delle più piccole, fare confronti e malignare era il loro scopo primario.
    I camerini pullulavano di bambine, adolescenti, ragazze più grandi e navigate, con ricchi abiti di scena e tutù da sogno. I grandi occhi stupefatti, ammirati e attoniti delle più piccole erano perennemente fissi su quelle ballerine meravigliose, dal fisico perfetto e dalla disinvoltura con la quale volteggiavano sulle punte.
    “Su bambine, in fila indiana, siete le prime, quindi ora che il sipario è ancora calato, andate a mettervi ai vostri posti, forza!” La voce alta e imperiosa dell’insegnante e il rumore secco del battito di mani, aveva il magico potere di riportarle alle realtà.
    Ridacchiando e bisbigliando tra loro, a piccoli passi si accomodavano sul palcoscenico al proprio posto segnato da un nastro adesivo a forma di X.
    Chiuse in quei piccoli tutù soffici come nuvole, i capelli tirati indietro e adornati di fiori e brillantini, la calzamaglia rosa e i minuscoli piedi fasciati in scarpine di pelle, erano una gioia per gli occhi.
    Vederle ballare, era gradevole soltanto per i loro genitori: all’apertura del sipario, apparivano composte e sedute a terra con le gambe incrociate. Il lungo e sentito scroscio di applausi, mitigava le prime note della musica.
    Dopo una serie de port de bras alquanto noiosi e ripetitivi, le piccole, con l’occhio fisso dietro le quinte per vedere i suggerimenti della maestra, si alzavano in piedi per un lungo girotondo.
    Lungo scroscio di applausi e risate, quasi sempre sottolineava questa parte.
    Un’altra serie di noiosi esercizi coi piedi eseguiti in precario equilibrio, poi la capofila le guidava all’uscita, prendendo quasi sempre la quinta sbagliata, guadagnandosi così una serie di improperi del gruppo successivo al quale avevano intralciato il passaggio.
    Se i genitori delle debuttanti erano in visibilio e avrebbero fatto carte false per ammirarle in un altro numero, il resto del pubblico esalava uno spontaneo sospiro di sollievo. La parte più noiosa era finita, meno male!
    Era il turno delle mezzane, di solito composto da ragazzine in età preadolescenziale. I loro numeri vantavano musica allegra e veloce, orecchiabile e vivace, la quale aveva il magico potere di far passare inosservati alcuni errori di ritmo e passi sbagliati.

    Intervallo

    “La nostra Irene è stata grandiosa, vero Gianni?”
    “Sì” annuiva il padre con orgoglio e un sorriso che arrivava fino alle orecchie.
    “Il prossimo anno, ho deciso che la mia bambina seguirà un corso presso un’altra scuola molto prestigiosa e altolocata. Voglio che presto sia in grado di sostenere la prova di ammissione alla Scala” dichiarava con severità una signora dai biondi capelli ricci e piena di gioielli.
    “Qui sono tutti così provinciali”, aggiunse con una smorfia di evidente disgusto e superiorità.
    “Fai bene, è così brava e carina… qui è sprecata” le rispose l’amica sprofondata nella poltrona di velluto rosso, con un sorriso tra il divertito e il compassionevole, mentre pensava:
    Ma dove vuoi che vada? Alla Scala? Nel sottoscala forse.
    “Vado un momento nel ridotto, hai bisogno di qualcosa, cara? Hai sete?” chiese un signore dall’aria distinta alla moglie.
    “No, amore, ma fai presto che tra poco lo spettacolo ricomincia e c’è la nostra Agnese. Non vorrai perdere il suo numero?” disse la donna con un filo di apprensione, mentre con la mano sinistra tormentava il filo di perle che portava al collo. Era in ansia per l’esibizione della figlia quindicenne. Quell’anno, grazie al suo impegno, era riuscita a far parte del gruppo delle più grandi, e ne era stata molto felice. Un mese e mezzo prima del saggio, una brutta tendinite l’aveva costretta a settimane di riposo, terapia al laser e svariate pomate medicamentose. A detta del medico era stata dichiarata completamente guarita, ma sua madre temeva che, complice l’emozione, la caviglia non la sostenesse bene sulle punte. Sentiva, benchè non li vedesse, puntati su di sé gli occhi non propriamente benevoli delle altre madri, quelle che non avevano avuto la soddisfazione di vedere le proprie ragazze fare quel salto di qualità in avanti. Indubbiamente speravano in un fiasco così impara a fare la presuntuosa…
    “Vado e torno” rispose il marito.

    Terzo squillo del campanello, penombra e buio in sala

    Dietro le quinte intanto, in un piccolo camerino fatto per una persona sola, una giovane donna si guardava allo specchio. Era anche lei un’allieva, ma di un’altra scuola, invitata come ballerina ospite.
    Ancora non ci credeva. Quello che le era successo aveva dell’incredibile.
    Indossava un degas corto, colore del cielo, tutto tempestato di brillantini.
    “Che ne dici Rita? Ti piace? Vedi che ho avuto ragione ad invitarti?” le chiese il giovane guardandola dentro lo specchio, mentre finiva di sistemarle l’acconciatura.
    Lo chignon era intrecciato con raso turchese e una coroncina completava quella meraviglia.
    “Sì… ma… oh, chissà cosa diranno quelle due!”
    “Se ti riconosceranno, e questo non è detto, ti assicuro che perderanno per un bel po’ di tempo il dono della favella! Si consumeranno le unghie a forza di mangiarsele e torneranno a casa nere e cattive!”
    “Beh, quello lo sono già, ma possono fare di meglio” gli rispose Rita con un sorriso ammiccante.
    “Emozionata?”
    “No, felice e riconoscente” gli rispose.
    “Bene, ora che se pronta, andiamo a riscaldarci e rivedere qualche passaggio”, concluse Guido.
    Rita aveva appena 30 anni, e aveva iniziato a studiare danza con grande passione e impegno da quando ne aveva nove, ma nell’aprile dei suoi vent’anni aveva smesso.
    Non perché le fosse passata la voglia, tutt’altro! Le erano successe una serie di cose sgradevoli e non ne poteva più.
    L’anoressia iniziata prima dei sedici anni, aveva lasciato il posto ad una fame incontenibile e il suo fisico armonioso, in pochi mesi era cambiato, facendola vergognare di sé. E quando la sua insegnante glielo aveva fatto notare, lei era tornata a casa triste e avvilita, ma ad un tempo quasi sollevata. Sapeva che non ci sarebbe più andata; non ne poteva più di pensare sempre al cibo, alle diete, al peso, ai commenti della gente.
    Era comunque snella, perché la sua costituzione era sempre stata longilinea, ma lei non si piaceva più. Tentava di mettersi a dieta, ma non c’era niente da fare. Il solo pensiero di rivedere i suoi ostili parenti, le frasi cattive contro i suoi genitori, la loro ossessione nel criticare l’aspetto fisico, la facevano sprofondare nel baratro e mangiava perché non si sentiva amata e capita da nessuno.
    Con un enorme sforzo di volontà, in capo a due anni, tornò ad essere la ragazza socievole di un tempo e, in fondo al suo cuore c’era sempre il pensiero di tornare a danzare.
    Quando provò a contattare la vecchia scuola di danza, le dissero che le ragazze erano impegnate con degli esami, a lei non restava altro che mettersi a studiare con le bambine piccole, se proprio ci teneva a ricominciare. Lasciò perdere, e intanto gli anni passarono.
    Sapeva che nella sua località avevano aperto una scuola, glielo aveva detto la sua amica che sempre aveva studiato con lei, ma Rita non ne volle sapere.
    Un giorno di novembre, qualcosa scattò nella sua mente, e la voglia di andarci le entrò dentro con prepotenza. Prese subito contatto con l’amica e dopo alcuni giorni era in palestra.
    L’insegnante era una sua coetanea, si chiamava Luisa, aveva studiato nella stessa scuola, ma avendo orari differenti non si erano mai conosciute.
    Quando alcuni anni prima aveva aperto la palestra, subito aveva incaricato le più grandi ad insegnare alle piccole, benchè non avessero in realtà l’esperienza e gli studi per fare questo.
    Anche l’amica di Rita, Anna, insegnava con l’aria di vantarsene.
    La prima lezione fu stupefacente! Era come non avesse mai smesso di danzare e glielo dissero.
    “Sei brava, hai delle buone basi, complimenti, non sembra che tu abbia smesso!”
    Addirittura, poche settimane dopo aver iniziato, Anna telefonò a Rita dicendole che l’insegnante avrebbe avuto piacere che facesse qualche spettacolo, ma temeva che lei non volesse.
    “Certo che lo voglio!” esclamò Rita al colmo della gioia.

    Passarono le feste natalizie e arrivò gennaio, il mese in cui si preparano i saggi. Quell’anno sarebbe stato in aprile, un po’ prima delle date canoniche.
    “Facciamo Coppelia, i tanghi di Piazzolla, i moderni.”
    Da un istante all’altro, Rita si aspettava una parola, la conferma della promessa di alcuni mesi prima.
    Tutti tacevano. Allora si fece avanti lei: “Posso fare anch’io il tango?”
    “E’ pesante e difficile sulle punte, ma prova” rispose Luisa.
    Il lunedì successivo, Rita disse all’amica: “Lo sai che faccio i tanghi?”
    “Non lo fai mica. Ti puoi fare male, Luisa ha detto che non lo fai.”
    “E quando?”
    “Ieri. Vai a dirglielo che non lo fai, diglielo subito.”
    Rita rimase totalmente spiazzata, ma rinunciò e Anna le stava appresso per accertarsi che non facesse quel pezzo.
    A fine anno era avvenuto un altro fatto strano e increscioso, che contraddiva tutto.
    Rita e Anna erano in treno, stavano parlando del più e del meno. Ad un tratto era saltata su Anna, dicendo: “Non capisce mica niente Luisa. L’altra sera hai fatto quella cosa sulle punte e lei non ti ha detto niente, ma è pericoloso. Io sono stata zitta, però… non farlo più, non farlo capito?”
    “Veramente, stavo sulle mezze…”
    “Non farlo più.”
    Se Rita fosse stata pronta, avrebbe risposto che intanto lei non era la sua insegnante, poi non le avevano detto e ripetuto che era tanto brava?
    Tacque, tenendosi tutto dentro, era ancora in bilico tra la realtà e quella promessa – tra l’altro da lei non richiesta – di ballare.

    Iniziarono le prove di Coppelia, Rita chiese se poteva fare qualcosa.
    “Di classico? chiese Luisa, anche lei dimentica di quanto affermato pochi mesi prima.
    Alla fine, Rita fece una parte con delle ragazzine di un corso inferiore.
    I suoi parenti le dissero che era stata brava, ma che non contasse su quelle due, perché mai le avrebbero dato di più. Era vero, ma ancora non ci credeva, viveva sempre sospesa in quella promessa.

    Durante le prove ebbe una grande soddisfazione. L’addetto alla registrazione del saggio entrò in camerino per salutarla, dato che non la conosceva.
    “Complimenti, complimenti per l’interpretazione. Come ti chiami?”
    Quella che faceva la prima ballerina sorrise, credendo stesse parlando di lei.
    “Quale interpretazione?”
    “La sua, ho fatto le prove con lei, oggi.”
    “Ah…”
    Quel dialogo rimase registrato, così tutti i familiari di Rita lo videro e ne furono soddisfatti.
    Sì, lei ci metteva il cuore, tutti lo sentivano, aveva inoltre una grazia innata e straordinaria.

    Passarono alcune settimane, la scuola era ancora aperta. Una sera, Luisa e Anna dissero che sarebbero state a vedere un saggio.
    “Ci hanno invitate.”
    Beh, anche Rita era stata invitata e non come spettatrice. Non lo sapeva nessuno.
    Un pomeriggio si era recata in città per fare alcune compere, ed era stata fermata da un ragazzo.
    “Scusa, tu una volta frequentavi il Dance Studio, o sbaglio?”
    “Sì, mi ricordo vagamente di te, a volte venivi a prendere lezioni.”
    “Sono Guido. Ballo e insegno. Tu che fai? Balli ancora?”
    “Ho ripreso da poco, ma non mi piace quello che faccio.”
    “Mmm… me lo faresti un piacere? chiese dopo alcuni istanti di esitazione. “Se non ti va, puoi sempre dire di no.”
    “Quale?”
    “Mi hanno chiesto di fare un balletto ad un saggio in qualità di ospite, però non da solo. Tu saresti il tipo adatto, sei tale e quale alle ballerine di Degas.”
    “Mi piacerebbe da matti, però ho smesso per molti anni, quindi non so…”
    “Non ha importanza, i passi li adattiamo, mi interessi tu, perché so che quando entri in scena bruci la telecamera, sei unica.”
    “E quando, dove proviamo?” chiese Rita col morale salito alle stelle.

    Si scambiarono i numeri di telefono e presero accordi.
    Avrebbe ballato sulle punte, che gioia!
    La coreografia prevedeva che Rita sarebbe entrata più volte in scena da sola, durante alcuni momenti del saggio, mentre le altre ballavano. Come ultimo pezzo, un passo a due con Guido.

    Quando sentì che quelle due streghe avrebbero presenziato al suo stesso spettacolo, l’adrenalina l’invase tutta e comprese che finalmente la giusta vendetta si sarebbe consumata, e senza colpo ferire.
    Alle ore 21,30 del 3 giugno, le note dell’Adagio di Albinoni furono degnamente celebrate da due ballerini che lasciarono il pubblico in estasi. Il devoto silenzio del pubblico accompagnò l’ultima nota, poi seguì un interminabile applauso, richieste di bis, ovazioni.

    Nel fondo della sala, due donne immobili come statue non si persero un istante del balletto, ma non applaudirono, né dissero una parola. Se ne andarono in silenzio, mentre lo stupore, l’ammirazione che pur a malincuore non avevano potuto fare a meno di provare, lasciava posto ad un rancore, un odio incontenibile che avrebbero scaricato sul primo malcapitato.
    Anzi, i primi malcapitati: i loro rispettivi consorti, i quali mai compresero perché quelle due pazze si fossero messe a gridare in mezzo alla strada accusandoli di essere ineleganti, maleducati, e, siccome non avevano voluto vedere il saggio insieme a loro, era stato certamente per andare a caccia di donne, soli e indisturbati.
    Il marito di Luisa si beccò un occhio nero, il fidanzato di Anna, una mano stritolata dentro la portiera dell’auto. Per questi quattro, la notte li vide in fila al Pronto Soccorso, mentre Guido e Rita a fare un brindisi sulla spiaggia.


    FINE
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